L'ULTIMA SENTINELLA di Marco Bergamini Fissavo l'oceano appena increspato dal vento. Sentivo l'aria tiepida scivolare sulla mia pelle, sfiorare il mio viso, rapire il mio spirito. Ed io, mi abbandonavo volentieri alla profondita' di quelle sensazioni. Avrei desiderato essere io stesso quel vento libero e senza padroni. Intanto, il profumo del mare mi riempiva le narici, ed io respiravo a pieni polmoni nel tentativo di carpirne tutti i significati piu' reconditi; significati cosi' lontani dalla mia coscienza ma, allo stesso tempo, cosi' immediatamente comprensibili alla mia anima. La notte era sul punto di rendere gli oggetti al nuovo giorno nascente. Le ombre si ritiravano docilmente, allungandosi sulla spiaggia, e scivolando fra gli anfratti delle terra. Ma il sole che osservavo era un astro malato. Era una sfera enormemente schiacciata ai poli, gigantesca, per lo piu' nera. Anziche' luce e calore, emanava oscurita' e freddezza. E, intorno a se', spandeva l'influenza maligna della sua pericolosa presenza. Il cielo, poco prima appena chiaro, si riempi' di tenebra, come se la stella altro non fosse che lo scolo di qualche sostanza venefica. Allora, ricordavo d'essere gia' stato li', in passato. Cadevo in ginocchio, e stringevo nei pugni la sabbia gelida. Osservavo una lacrima cadere sulla spiaggia... Il cielo era nero come la pece, e nel mio cuore esso significava dolore e paura. Ma, all'orizzonte, la luce sembrava rinascere. Lungo tutta la linea del confine tra cielo e mare, una striscia sempre piu' ampia, e intensamente luminosa, vinceva l'oscurita'. Ed io attendevo, e sforzavo la mia mente affinche' credesse in quella luce. Cercavo di desiderarla. Avevo bisogno di farlo. Poi, ad un tratto, tutto si riempi' di quel bagliore e... E, finalmente... Mi risveglio' il mio stesso urlo. Il cuore batteva forte nel mio petto. Sciolsi le tenebre intorno a me, ero istintivamente sicuro che la realta' non mi avrebbe tradito. Mi rifugiai lungo le pendici di una montagna. Era mattina, il sole era caldo, ed io mi lasciai cadere sull'erba. Risi di me. E' normale avere degli incubi, ma e' sciocco soffrire sempre dello stesso sogno ricorrente. E cio' che mi rendeva irrequieto era il non poter concretizzare in un pensiero cosciente la visione spaventosa che mi faceva ridestare. Smisi di pensarci. "Ciao Han...", mormorai nel silenzio di quella cheta vallata. Era uno dei miei rifugi preferiti. Li' scappavo ogni qual volta avevo bisogno di ritrovare me stesso. Era uno dei miei mille nascondigli, ma non era, davvero, un luogo solitario: Kublai era nelle stesse immagini che io creavo. "Buon giorno, amore", rispose la sua voce ancora avvolta nel sonno. "Dove sei?" Vidi il suo corpo comparirmi di fronte. Han mi sorrise, e si sdraio' accanto a me. Il suo viso allegro mi rendeva felice. Cosi' vicina a me, mi riempiva di voglia d'amarla. "Quell'incubo... di nuovo..." Lei mi bacio' le labbra e mi mosse i capelli con la sua fragile mano. "Non ti preoccupare...", disse lentamente. Era nuda. Lasciai che il suo corpo scivolasse sul mio. "No", mormorai. Lei si fermo' a guardarmi. Aveva dei bellissimi occhi azzurri in cui mi lasciavo precipitare senza difesa. Avrei potuto concederle ogni diritto sulla mia vita in cambio di quella malinconica droga che era il suo sguardo. "Ti amo, Hak." Diceva la verita', ma decisi che non era lei che stavo cercando, che avevo bisogno di tristezza e di rimpianto. Quanto tempo sarebbe trascorso prima d'una nuova chiamata? Nessun soldato poteva saperlo. Bisognava essere pronti ad intervenire in qualsiasi momento. Ma detestavo pensarlo. Fissai il logo dei reparti speciali: l'esagono nero spezzato da una saetta. Sul bordo della scogliera, il vento spirava violento. Lo sentivo premere contro il mio torace in una stupida prova di forza. Non potevo certo dimenticare che quel vento nasceva dalla mia fantasia, come immaginario era il paesaggio che mi circondava. Ma cio' non significava che fosse falso o irreale. Semplicemente, la realta' era mutabile. Aggiunsi al cielo una tonalita' piu' cupa di grigio, e lasciai che la pioggia cadesse lieve su di me e sulla rupe. Dal fondo della scogliera, il mare lottava contro la roccia. Le onde urlavano il loro fragoroso grido di battaglia, come guerrieri dell'esercito infernale. Chiusi gli occhi e cercai in me una melodia da aggiungere alla scena. Il delicato suono d'un solo violino si mescolo' alla spuma e alla pioggia. Mi sedetti ad ascoltare, volevo essere solo e sognare Han. Sapevo che, se l'avessi voluto, lei sarebbe stata parte di quello stesso paesaggio. Ma non era cio' che cercavo; mi piaceva sognarla accanto a me, ma senza che il mio desiderio diventasse realta'. Perche' combattere? Chiusi la porta accostandola lentamente. La stanza era illuminata da una luce diffusa che non pareva avere origine alcuna. La finestra era chiusa e i vetri erano neri. Tende bianche e leggerissime cadevano fino al pavimento, troppo lunghe. Mi fissai nello specchio. Rifletteva me e un letto matrimoniale verde e marrone. Mi passai la mano sul viso, mentre la mia immaginazione lo trasformava continuamente. Potevo essere qualsiasi cosa, avere qualsiasi lineamento. "Tu vuoi fuggire, vero Hak?" Osservai Han vicino al letto. Si era sdraiata al centro, apriva e chiudeva le gambe sicura d'attrarre la mia attenzione. "Ho solo paura", le risposi. E mi avvicinai a lei. La mia mano accarezzava il suo corpo. Era cosi' straordinariamente affascinante. Non si poteva resistere ad un'incantesimo che nasceva da dentro me stesso. "Tutti abbiamo paura, Hak." Aveva preso la mia testa tra le sue mani, e aveva avvicinato le sue labbra alle mie. "Tutti ne abbiamo, e' per questo che sognamo di fuggire." Chinai il capo e lei non pote' baciarmi. Mi sdraiai vicino al suo corpo. "Io so che cosa pensi, Hak. Ti stai chiedendo quale ragione ti costringe a combattere. Vorresti essere libero da ogni vincolo." Annuii. "Ribellati, amor mio. Ribellati, allora!" La stanza era immersa nell'oscurita'. Sedevo nudo in un angolo. Stringevo le mani sul mio viso. "Lasciami solo... Lasciatemi solo..." Sentii le dita di Han sfiorarmi la guancia. "Ribellati, amor mio." Se solo conoscessi la via di uscita. Ma nessuno puo' fuggire dalla realta'. L'uscio cadde a terra sfrigolando. L'odore di tetraglass affumicato riempi' la stanza. Le pareti s'allontanarono alla velocita' della luce, e mi trovai sospeso in uno spazio bianco senza fine. Il file-killer si materializzo' di fronte a me. Lottai disperatamente per non essere cancellato. Per Dio, era troppo veloce... Aprii una porta, e mi gettai oltre. Comunicai la posizione del mio nemico direttamente a Kublai. "Signore, abbiamo un'altra aggressione." L'operatore batte' rapidamente sulla tastiera. Sul video apparve la rappresentazione tridimensionale dell'area infettata. "Confine orientale", aggiunse. Poi si volto' verso il suo superiore. "Invasione... Invasione dall'Hungarian-network! Files-killers molto veloci segnalati da diverse unita' immersive." "Attiva i sistemi di contenimento. Mobilita il reparto speciale, e guida un attacco al centro del corpo d'invasione." L'operatore torno' a fissare lo schermo. Le vie di comunicazione con le aree contaminate furono ridotte, e poste sotto controllo. Fissavo i miei compagni, tutti tacevano. Aspettavamo da un momento all'altro di trovarci di fronte al nemico. Allora, il grigio scenario di quiete, richiesto dal regolamento, si sarebbe trasformato in un caotico rincorrersi di linee traccianti. I nostri fucili erano le terminazioni nervose di Kublai: le sue data-bus. I nostri corpi erano aree di memoria in cui risiedevano i files antivirali della VBBS. Al momento opportuno, saremmo entrati in azione. Il conflitto non era mai cominciato, era sempre esistito. Aveva avuto origine dal dominio sulle banche dati virtuali. Kublai aveva il controllo del maggior numero di VBBS, ma Zero raggiungeva il maggior numero di persone. La politica della Cina, apertamente aggressiva, aveva permesso loro di sviluppare sistemi d'assalto, exe-files per la colonizzazione delle VBBS. "Fuggi...", gridava Han dentro di me. "Diserta...", ripeteva continuamente. Ma non potevo che restare in silenzio a fissare i miei compagni. Almeno, la guerra dava una ragione alla mia esistenza. Apparvero all'improvviso. In combattimento, ogni uomo e' solo: affronta il suo avversario, vince o soccombe. Il loro attacco era un'unica azione di sfondamento. Come un macigno scaricato a valle, i files-killers premevano contro tutte le principali VBBS orientali. Come un liquido corrosivo, s'insinuavano in tutte le aree di memoria distruggendole e depredandole. In passato, le loro aggressioni si erano limitate a brevi azioni di rapina durante le quali sfondavano la nostra difesa, copiavano le aree files, le scaricavano oltre confine, e davano un breakdown-input che mandava in overflow il fossil della VBBS. Avevamo perso molti uomini in quei combattimenti, ma il nemico non era mai riuscito a rubare nessuna informazione fondamentale. Il cuore di Kublai era irraggiungibile. Esso viveva in milioni di banche dati virtuali. L'occupazione di alcune tra esse, non implicava la fine della VBBS occidentale. Ma questa volta, non si trattava d'un mordi e fuggi. "Sono troppo veloci, signore." "Situazione...", disse l'uomo voltandosi verso l'operatore. "Il confine sta cadendo alla velocita' di seicentomila megabyte al secondo." "Cristo! Fai saltare tutte le porte fisiche lungo questa linea." L'ufficiale indico' lo schermo. "Cosi' condanneremo otto reparti immersivi. Non potranno tornare a casa se..." L'uomo lo strinse per il braccio. "Obbedisca!" L'operatore si libero' della presa, e inizio' a battere sulla tastiera. Da qualche parte, in Europa, cariche al plastico spezzavano cavi a fibre ottiche. Me lo trovai di fronte. Era un file-killer della stessa serie segnalata a Kublai. Dietro di se' c'era il vuoto: ogni byte di memoria era stato scaricato e cancellato. Si trattavano di reparti suicidi. In nessun modo, potevano tornare indietro. A meno che, successivamente, dal loro confine facessero partire dei files di riprogrammazione. In questo caso, la conquista della VBBS avrebbe condotto ad una definitiva occupazione. C'era un altro vantaggio nell'uso di reparti suicidi. Il buco creato dietro di loro rendeva impossibile un qualsiasi capovolgimento di fronte. Precipitammo insieme per alcuni secondi, ma era impossibile distruggerlo. Nessun file antivirale era in grado di colpirlo seriamente. Si trasformava troppo rapidamente. Fuggii verso aree di memoria incontaminate. Immaginai una piana distesa d'erba, e cercai Han. "Han, liberami da quest'incubo...", gridai. Ma lei non rispondeva. Il file-killer mi trovo' subito. Le forme della pianura si piegavano come linee di forza attraverso la sua porta output, trascinate alla velocita' di un milione e ventiquattromila byte al secondo oltre il confine orientale. Cercai di comunicare con Kublai, inutilmente. Eravamo tagliati fuori. Il file-killer s'avvicinava invincibile. Non aveva senso cercare di difendersi, scaricai il mio fucile vanamente. Ad ogni passo, sentivo la sua I/O attrarmi inesorabilmente. Ma io non l'avrei attraversata, avrei fatto parte di quel gruppo di dati che il file-killer avrebbe cancellato senza trasferire. Eppure, sentivo di non voler morire. "Han, salvami ti prego!", urlai. La sua voce sfioro' il mio spirito. "Il tuo incubo... Il tuo incubo e'... E' la tua sola via d'uscita." Sentii una fitta al cervello. Portai le mani alla testa. Le mie dita affondavano nella carne. "Fuggi, fuggi da te, Hak. Liberati da quest'incubo che e' la vita..." Strappai, nel dolore, brandelli della mio viso, finche' le dita toccarono una forma allungata. La spinsi lontano da me. Il cielo era nero come la pece, e nel mio cuore esso significava dolore e paura. Ma, all'orizzonte, la luce sembrava rinascere. Lungo tutta la linea del confine, una striscia sempre piu' ampia, e intensamente luminosa, vinceva l'oscurita'. Ed io attendevo, sforzavo la mia mente affinche' credesse in quella luce. Cercavo di desiderarla. Avevo bisogno di farlo. Poi, ad un tratto, tutto si riempi' di quel bagliore e... E, finalmente, scorsi la verita'. Finalmente, aprii gli occhi. Di fronte a me, allineati l'uno accanto all'altro, terminali umani in sospensione crionica, brainware da combattimento svuotati e gettati via, pendevano inermi come manichini. Gridai per l'orrore. Gridai... Gridai... E gridai senza fine.