H300-SXY di Marco Bergamini Le linee della strada si accavallavano nella mia mente. Il sole alto e caldo dell'estate picchiava con la tipica violenta cecita' della natura. Ero rimasto a piedi; costretto a camminare lungo la Route 66 nella speranza di trovare un paese. Juky mi aveva scaricato alla prima stazione di servizio. L'aveva fatto cosi', senza una ragione; con la stessa arroganza che sempre la spinge a prendere decisioni discutibili. Detesto il sole della California, maledette strade che non conducono in nessun posto. E maledetta sia Juky e tutte le sue idee balzane. Come quella, ad esempio, che ci aveva condotti cosi' lontano da casa, in pieno deserto, alla ricerca, come aveva insistito lei, di un domani diverso e piu' eccitante. Adesso si', che era eccitante; se non trovavo rapidamente un passaggio, ero praticamente spacciato. Naturalmente, dovevo nascondere la mia identita'. Alla stazione di servizio, Juky era riuscita a spifferare a tutti chi fossi realmente. Come al solito, lo aveva fatto per spirito di spavalderia; perche' non riusciva a starsene zitta, e perche' non sopportava di farsi considerare una persona normale. Qualcuno s'era messo a ridere. Qualcun altro aveva considerato la cosa come un'offesa personale e mi aveva minacciato di morte se non fossi uscito subito dal locale. Juky rideva nel vedermi in difficolta', umiliato, offeso, messo alle strette. Mi aveva lasciato solo, con la scusa di dover andare alla toilette. Io avevo terminato di bere la mia acqua, ma l'atmosfera del locale diventava ad ogni attimo piu' sgradevole. E lei non ritornava. Pagai la sua consumazione. Uscii dal locale appena in tempo per vedere la nostra jeep che partiva dal parcheggio e Juky che se ne andava. Si era comportata male. Si era comportata da vera stronza. Beh, a quel punto, non sapevo che fare. Non avevo alcuna intenzione di ritornare la' dentro. Senza Juky, non ero in grado di difendermi. Cosa potevo scegliere se non di mettermi per strada, nella direzione della jeep, nella speranza che lei si pentisse della sua cattiveria e tornasse a riprendermi. Accidenti a lei e a quando le sono stato assegnato. Immagino che non si fara' vedere mai piu' e che mi lascera' a morire qui, in questo deserto. Ho camminato per tutta la giornata senza incrociare una macchina. Al calare della notte, mi sono fermato sul ciglio della strada. Non posseggo star-light o infra-red, e nell'oscurita' potrei perdermi. Oh Dio, sarebbe il colmo della mia sventura se smarrissi anche la via; e' l'unica chiara traccia della direzione che devo seguire per ritrovarla. Immerso nel buio, ripensavo a Juky e a quando, passeggiando per le vie del centro, s'era soffermata a guardarmi attraverso le vetrine di Modd's. E pensare che le avevo sorriso, sperando d'impressionarla con la mia avvenenza fisica. Evidentemente, c'ero riuscito. La rividi passare piu' volte, nei giorni successivi. Il suo viso mi era divenuto piu' familiare di quello del signor Modd. Suppongo che anche lei fosse carina, ma non sono programmato per fare distinzioni fisiche o sessuali. Ve la descrivero' di modo che voi possiate stabilire se, per lei, valesse davvero la pena subire delle angherie. Juky e' alta circa un metro e settanta centimetri, e pesa cinquantadue chili e trecento grammi. Ha gli occhi verdi, il naso piccolo, le labbra rosse, le sopracciglia sottili, il viso ovale, i capelli biondi, tagliati corti fin sulle spalle, il seno di dimensioni leggermente superiore alla media, una muscolatura soda e guizzante. Spero che la descrizione sia stata quanto piu' esplicativa possibile: d'altronde, non e' compito mio discutere circa le caratteristiche del mio proprietario. Ma Juky aveva anche un carattere balzano. Se il signor Modd avesse solamente intuito in quante grane mi avrebbe volutamente cacciato, penso che mi avrebbe venduto, come minimo, al doppio del prezzo a cui, quella sera, mi cedette. Credete che millecinquecento dollari siano un valore accettabile per un elemento della mia serie? No! Certamente, no! In quegli anni, valevo almeno tremila dollari, tremila e cinquecento. Ma Modd's era in periodo di saldi. Ero uno dei mille modelli H300-SXY, prodotti in serie speciale, dotati di microprocessore 300. Cioe', a differenza dei miei simili, in grado d'imparare dal mio possessore. Cosi', nel mio brainware fu impresso il nome di Juky, ed io le venni assegnato definitivamente. Che ingrata! Lasciarmi cosi', senza nemmeno un perche'. Fuggire dalla finestra delle toilette d'un locale, una stazione di servizio dimenticata da Dio in mezzo al deserto californiano, dopo che, per cinque anni, le avevo dato tutto me stesso, accettando tutte le sue piu' infantili perversioni, trascurando la mia stessa dignita' allo scopo di farla felice, anteponendo sempre la sua vita alla mia. Se non e' apprezzabile questo mio sforzo d'integrare i suoi appetiti sessuali con uno straccio d'apparente amore, io non so che altro avrei potuto fare. Per quanto mi riguarda, ero riuscito a convincermi d'essere innamorato di lei. Forse, non ero mai riuscito a far si' che lei si sentisse, in qualche modo, innamorata di me. Ero stato comprato come una macchina, e percio' ogni mio sentimento era giudicato come un asettico output-file del mio brainware. E' vero, se l'amavo e se la facevo divertire, era perche' tutto era gia' stato scritto in me. Ma il modo... L'arte con cui assolvevo a questa mansione, a questa necessita' personale, doveva essermi riconosciuta. Insomma, non e' difficile essere un androide da piacere, anche un uomo potrebbe esserlo. L'abilita' e' superare la facile apparenza dell'istintivo programma brainware e conferire agli output-files un'aspetto piu' fantasioso, piu'... romantico. Ed in fondo, il romanticismo l'avevano inventato loro, sebbene Juky ne fosse totalmente sprovvista. Cosi' trascorsi la notte rimuginando queste cose. Sentivo d'essere arrabbiato con lei. Sapevo che, per un po' di tempo, l'avrei trattata molto freddamente; ma poi, sarei tornato a credere alle sue bugie, a cedere ai suoi ricatti, a ridere delle sue parole offensive. Se lei fosse tornata a prendermi. Se lei fosse tornata... Il giorno dopo, ripresi a camminare. Trascorsi tutta la mattinata a maledire il sole prima che un'automobile si fermasse. Il guidatore era un uomo schietto, un tipico abitante di queste zone abbandonate. Non potevo pretendere da lui un'educazione cittadina. Mi chiese dove volessi andare ed io risposi che volevo raggiungere il paese piu' vicino. Lui sorrise, fraintendendo chissa' che cosa; annui', mi invito' a salire, sputo' una presa di tabacco fuori dal finestrino, avvio' il motore e riparti'. Era un uomo piuttosto grasso ma la sua pinguedine derivava da un abuso di bevande alcoliche. Non serviva essere particolarmente perspicaci per osservare gli indiscutibili indizi che comprovavano questa impressione. Prima di tutto, puzzava di whisky; per secondo, sul sedile posteriore aveva stivato circa una quarantina di lattine di birra. "Sei uno di quelli che fuggono, ragazzo?" Lo guardai per un attimo, mi sorrideva con quel suo viso deforme. Per un momento, fui pronto a giurare che il fuggitivo, in realta', fosse lui. Tornai a socchiudere gli occhi lasciando che il vento, entrando dal finestrino, mi scompigliasse i capelli. "Ah, non vuoi parlarne", mormoro' ridacchiando. Ma l'uomo, al contrario, aveva una gran voglia di dire la sua. Mi afferro' il bavero della camicia avvicinando il mio viso al suo. "Stai scappando dalla guerra, amico? Mi sembri uno di quelli..." Attesi che lui mollasse la presa. "No, non sono mai stato al fronte", dissi con fermezza, tornando a fissare il monotono paesaggio. "Ah, bene", urlo' ridendo e tornando a premere sul pedale dell'acceleratore. "Bene, io odio quei bastardi pezzi di latta. Ho saputo che sparano contro chiunque si trovi alla portata dei loro AK, basta che sia umano." Lo fissai per qualche secondo. In quel momento, ero talmente triste e spaventato che provavo un distinto disprezzo nei suoi confronti. E poi, pensavo a Juky. Erano tre ore che viaggiavamo senza risultato. Pregavo che si fosse fermata a Geweka. "Che ti prende, ragazzo? Non mi hai ancora detto che ci stavi a fare in mezzo al deserto." "Sono stato abbandonato", mormorai. Lui mi fisso' ridendo. "E da chi?" "Da una donna." "E che le hai fatto, ragazzo?" "Nulla. Ha fatto tutto lei." Rise ancor piu' rudemente. "Sei troppo bello per una donna," disse lui, "soprattutto se non vuole fare certe cose. Ti faro' conoscere io un amore di ragazza. Vedrai... A me non serve piu'. Te la posso vendere a meta' prezzo." Non potei trattenermi da un sorriso spezzante. Nulla lo diferenziava da un venditore di schiavi. "Un androide da piacere?" Lui torno' a guardare il mio viso, poi ancora la strada. "Certo, un androide da piacere. A volte, sanno essere davvero utili." Penso' che disprezzassi gli androidi. Lasciai che fraintendesse. Mi prese in simpatia, m'invito' a cenare e a passare la notte da lui. Arrivammo alla sua casa nel tardo pomeriggio. Era una catapecchia di legno. Mi fece strada ed entrai. L'interno era povero quanto l'esterno. C'erano pochi mobili, tutti di legno tarlato, probabilmente fabbricati dallo stesso proprietario della casa. "Kiss, dove sei? Vieni a salutare!", grido' l'uomo. Io rimasi in piedi sulla soglia. Osservavo l'arredamento e la disposizione delle stanze. Kiss apparve nell'ingresso. Non indossava abiti e stringeva una scopa. "Stavo pulendo il pavimento della cucina, signore." L'uomo mi guardo' sorridendo. "Bella carne, eh." Le prese la scopa appoggiandola contro la parete. La sospinse verso di me. "Bella...", mormorai. Ma in cuor mio ero triste, triste per lei. "Kiss...", disse l'uomo. "Ti presento..." "Robert. Robert Nou", dissi mentendo. "Il signor Nou e' qui per vedere se sei capace a farlo divertire. Se farai cio' che ti chiede, ti vendero' a lui." L'androide chino' il capo e s'allontano', prese la scopa e scomparve in cucina. Kiss servi' la cena e fu costretta ad essere presente mentre discutevamo di lei. "E' un modello non registrato," disse l'uomo indicandola con un dito, mentre con la mano stringeva il cucchiaio. Rivoltai la mia posata nella brodaglia di fronte a me. Per fortuna, potevo escludere i sensori gustativi; e lo feci istintivamente. "Come ha fatto ad averla?" Lui sorrise. "Secondo te?" Poi, si mise a ridere. "L'ha rubata?", chiesi io ingenuamente. Divenne serio. "No. Vagava intorno alla mia baracca, ed io le ho dato una casa. Il proprietario non si e' mai fatto vivo e cosi' e' rimasta qui." Annuii. "Non sai quanti androidi vengono abbandonati da queste parti, ogni estate. La zona e' deserta e non c'e' polizia. Cosi', quelli che sono stanchi del loro tirapiedi elettrico, lo mollano per strada." "Non e' possibile!" Lui mi fisso'. "Come?", chiese ingollando un altro cucchiaio di brodaglia verde. "Niente", mi corressi con tono apparentemente indifferente. "Solo che mi sembra stupido. Se uno ha i soldi per comprarsi e mantenere un androide, perche' dovrebbe abbandonarlo?" Lui torno' a ridere. "Sei un ingenuo, ragazzo. Che te ne fai d'una ferraglia adorante? Credimi, dopo un po' te ne stanchi al punto che, o la uccidi, o l'abbandoni. E magari te ne compri un altro, un modello piu' recente, con delle caratteristiche migliori, capace di giochini piu' complessi, e con un brainware vergine da poter deformare a tuo gradimento." "Ho capito", mormorai. Avevo capito. Juky mi aveva tenuto con se' per cinque anni, poi s'era liberata di me. "Ti dicevo di Kiss... Nonostante sia un modello piuttosto vecchio, e' ancora in ottimo stato, sai? Non ha registrazione. Potresti considerarlo un difetto. In effetti, non e' molto legale." "E' un reato penale." L'uomo sorrise. "Appunto... Pero', quando mai s'e' vista la polizia del Ministero controllare sul serio la proprieta' di questa merce?" Annuii. "E' bellina, non trovi?" "Si'", mormorai. "E' molto bella." E il mio tono non riusci' a non condividere la malinconia dei suoi occhi. Ma non ero veramente in grado di concepire la sua bellezza fisica. Io l'amavo. E l'amavo perche' era prigioniera, e perche' era stata usata: esattamente come me. "Questa notte te la lascio in prova. Vedrai tu stesso che cosa sa fare." Rise. Dopo cena, Kiss sparecchio' la tavola. L'uomo si sedette sulla sua poltrona intento a fissare la free-light e a scolarsi le lattine di birra. Lei gli sedeva accanto, sul pavimento; si stringeva alle sue ginocchia. Restai in silenzio fino alle nove e mezza, poi approfittai d'una pausa per comunicargli la mia intenzione di sistemarmi per la notte. L'uomo annui' soddisfatto. Istrui' Kiss per la camera e per la notte. Lo salutai e scomparii su per una ripida scalinata, seguendo le membra flessuose della ragazza. Kiss e' piu' piccola di Juky. E' alta circa un metro e sessantacinque centimetri. Ha i capelli lunghi, neri corvini, occhi scuri e penetranti, labbra sottili, un corpo pieno e morbido. Deve essere un modello H100 modificato per il mercato messicano. Mi sedetti sul letto. Mi sfilai la camicia. Kiss si era avvicinata silenziosamente, sapeva che cosa doveva fare. Mi aiutava a svestirmi. Si fermo' solo quando vide il logo della NewTech impresso sulla mia spalla destra. Si porto' le mani al viso, era meravigliata e sorpresa. Annuii. Non avevamo bisogno di parole per comprenderci. Si sedette al mio fianco. Sentii il bisogno di stringerla e di confortarla. Lei si lascio' abbracciare, ed io capii che solo in quell'istante cominciavo ad amare veramente; che il tempo passato con Juky era servito solamente a farmi conoscere il profondo valore che traspariva da quello stare immersi, senza difese, l'uno nell'altro; come la fame fa comprendere il vero valore del cibo e, il rischio di morire, il reale significato della vita. Quell'impulso superiore agli output-files del mio brainware era tutto cio' che mi rendeva diverso da un uomo. "Stringimi", mormoro' lei. "Ho paura." "Non temere", le dissi. "Portami via, ti prego. Io non posso..." Annuii. Mi sdraiai sulle coperte. Ero stanco. Chiusi gli occhi e la sentii vicino a me. Mi sfiorava la fronte e i capelli. Mi baciava le labbra e il viso. Non sapevo se fosse in grado di provare amore. Sapevo che sognava la liberta' perche' glielo lessi chiaramente scritto nei suoi occhi. Adesso, io ero la sua unica salvezza. E l'avrei aiutata. Fu lei a svegliarmi, la mattina successiva. Pagai l'uomo e comprai Kiss. Lui ci porto' fino a Geweka prima che le nostre strade si dividessero per sempre. Lei mi seguiva in silenzio. Sapeva che la strada fino al confine sarebbe stata lunga. Sapeva che avremmo dovuto superare il fronte e la guerra. Ma io stavo imparando da lei il valore della liberta', ed in cambio le insegnavo cio' che credevo fosse l'amore. Eravamo convinti che qualcosa in noi fosse stato bistrattato al punto da renderci piu' sensibili di qualunque altro androide da piacere, e piu' chiari, nei nostri sentimenti, di qualsiasi essere umano. La guerra non ci avrebbe mutato. Avremmo conservato l'amore e la liberta' fino al giorno in cui, l'umanita', stanca di falsita', di morte e d'ipocrisia, avrebbe cercato di nuovo la sua grande anima. Allora, noi saremmo ritornati dal nostro esilio per insegnare alle b-born cio' che avevano stupidamente gettato via. Fino a quel giorno, io e Kiss saremmo stati una cosa sola.