LA MOGLIE di Marco Bergamini E' nelle sere tranquille, buie e silenziose, che ogni evento straordinario si manifesta con palese semplicita', e con sfacciata ingenuita', agli occhi stupiti dei propri spettatori. Io, studente fallito di medicina, rapito dai sogni d'una fama mai raggiunta, giurai a me stesso, e agli dei dell'Olimpo, che avrei trovato una soluzione. Perche' ogni vita prende spunto da un significato nascosto, e la mia, ancor piu' di quella d'ogn'altro, premeva per svelarne il proprio. Mi si potrebbe accusare, come realmente fece Mr. Talbot, che, se m'ero ridotto in miseria, era stato unicamente a causa della mia incapacita' di portare a termine ogni progetto. Per Talbot, era sempre cosi' facile giudicarmi, ogni pomeriggio, dopo le sei, quando, nauseato ed alienato, uscivo dall'obitorio comunale di Woodston. Ma che poteva saperne? Come poteva capire quello che veramente provavo? Intendo dire, non poteva certo comprendere i miei sentimenti, i discorsi, i sogni che, ad un certo punto, finivo per raccontare ai morti come se, essi, fossero gli unici in grado di percepirne la profondita'. Un senso che, nascosto, superava il semplice suono espresso da una parola o la fragile linea ordinata che l'inchiostro del pennino crea macchiando le pagine ingiallite d'un quaderno. Io odiavo Mr. Talbot. Sopra ogni cosa, io m'accorgevo di detestare quell'uomo. E, di pari misura, ogni giorno di piu', m'accorgevo di provare piacere nell'osservare le movenze, il viso infantile, le manie puerili, della sua piu' che giovane moglie. Miss Talbot aveva solo tredici anni. Il tenore sociale del marito le permetteva una vita lussuosa e spensierata. Eppure, scevra dall'abusarne, Cristine sapeva come attirare l'attenzione su di se' senza, per questo, apparire ne' sfacciata ne' sconveniente. Povera piccola, non sapeva che la mia vendetta si sarebbe attuata grazie a lei. Io vorrei che voi capiste, vorrei che non foste cosi' affrettati nel giudicare le mie azioni. Comprendevo benissimo, per Dio; intendevo fin troppo bene che, se mi fossi fatto giustizia da solo, sarei entrato a far parte della detestabile schiera dei violenti e degli assassini. Ma fino a che punto, un uomo deve sopportare il malvagio? Quando, liberare l'umanita' della sua presenza malefica, puo' considerarsi un atto meritorio, se non dovuto? Oh, voi che giudicate le mie azioni, quello che feci, in che modo m'impegnai, come dimostrai che sarei stato capace di fare qualunque cosa se non fosse stato per... Ve lo diro'; ma prima, rinviate il vostro giudizio circa la mia persona, perche' vi forniro' piu' d'una ragione per cui assolvermi. Il mio nome, non ve lo dissi prima, e' Geremia. I miei genitori, onesti contadini protestanti, me lo diedero in buona fede, aprendo a caso, una notte, la Bibbia. Dal caso, pensarono di poter interpretare il volere di Dio. E cosi', io nacqui trai loro migliori auspici. Peccato pero' che, dei disegni di Dio, ben poco gli uomini sappiano veramente. A tre anni, durante un viaggio, i miei genitori furono uccisi, ed io rimasi solo. Fui adottato da un soldato di fanteria e affidato ad una donna che, a Pricetown, gestiva un bordello. Da quella donna imparai solo due cose: il gusto dell'emancipazione da ogni legame sociale e l'interesse per l'occultismo. A dodici anni scappai. Arrivai a George Town dove trovai asilo presso la casa d'una insegnante elementare. Le raccontai la mia storia ed ella ebbe compassione di me. Mi diede un'istruzione e mi indico' la via per approfondire la conoscenza dell'arte medica. A ventisette anni, frequentavo l'Universita' di Boston. Lontanissimo dai miei genitori adottivi, non fui presente quando essi morirono. Cosi', a quella eta', nel mezzo dei miei studi, dovetti decidere se diventare un grande medico o se, guidato dai sogni di liberta' che ancor prima avevo avuto modo di imparare, fuggire e perdermi per il mondo. Devo ammettere che non fu per caso se, un giorno, stanco di dovermi sottomettere alla rigida disciplina dell'universita', mi ribellai alla stupidita' d'un insegnante e, sbattendo la porta, me ne andai da Boston. In fondo, era quello che avrei sempre voluto fare; un pretesto aveva permesso d'avverare un mio sogno e di dare forma ad un mio bisogno istintivo. Vagai per diversi anni. Dilapidai l'eredita' del mio ultimo padre. Poi, senza piu' un soldo, trovai lavoro in questa citta'. Ed ora, preparo i morti prima di consegnarli al becchino. Eppure, sebbene quanto vi diro' non corrisponda al pensiero di Mr. Talbot, e alla morale comune a molta altra gente fatta della sua stessa pasta; eppure, dicevo, ebbi modo di imparare molte piu' cose dai morti che dai vivi. Prima di tutto, scoprii che i defunti sono sempre sinceri, cosa che mai mi capito' d'osservare in nessun essere vivente. Questo avviene perche' il corpo d'un morto, stando fermo, immobile, non e' piu' capace di nascondere le proprie pecche. Il suo viso, rilassato, non ha piu' falsi sorrisi. Non camuffa piu' il proprio pensiero con le parole, ne' cela le deformita' caratteriali dello spirito che, un tempo, ospito'. Una volta defunto, il corpo, come lo stampo d'una statua di bronzo, mostra senza vergogna i segreti del suo passato abitante, come l'arredamento d'una casa dovrebbe dire qualcosa circa il gusto del suo proprietario. Ovviamente, questa capacita' di discernimento spetta solamente a quanti dispongono d'un occhio allenato. Ed io ero diventato un ottimo fisionomista e un cultore di quella branca della sociologia che fa risalire il carattere d'una persona al suo aspetto fisico e, viceversa, alcuni tratti fisici, dai desideri piu' profondi del suo spirito. In secondo luogo, i morti hanno la buona creanza di non giudicare mai nessuno. Povero, ricco, stupido, saggio, un morto non fa distinzioni. Ad ognuno di essi dedica la stessa attenzione. Ad ognuno di essi permette di sciogliere i freni sociali che fanno nascondere il carattere dietro ad una maschera. Con un morto si parla sempre onestamente perche' egli non ha pregiudizi per le tue azioni, per i tuoi pensieri, per il tuo corpo. Terzo aspetto, i morti non sono davvero morti. Chiedo scusa, capisco d'aver fatto un'affermazione cosi' distante dalla realta' dell'esperienza umana da apparire falsa. Date ancora un po' di credito alle mie parole. Non ve ne pentirete. Un morto e' un morto se dopo aver smesso di respirare lo si sepellisce e lo si lascia decomporre. Eppure, applicando in parte le mie doti mediche ed in parte le conoscenze da me acquisite sugli spiriti, sapevo di poter richiamare, in qualsiasi momento, un'anima dall'oltretomba, e sapevo di essere in grado d'imprigionarla in un corpo rianimato. Come questo possa avvenire, ora sarebbe lungo e complicato spiegare. Ma, per l'interesse che ancora potreste avere per quanto successe poi, vi prego, abbiate la gentilezza di accettare le mie parole con il beneficio del dubbio. Cosi', decisi di vendicarmi di Mr. Talbot e per farlo, stabilii che mi sarei servito di sua moglie. Meditai a lungo circa le opportunita' che mi si sarebbero presentate allo scopo di mettere in pratica i miei piani nel modo piu' sicuro possibile. Non volevo che Talbot morisse. La vendetta e' un piatto che va consumato molto lentamente. Sempre piu', mi convincevo che la mia vittima sarebbe dovuta essere cosciente della nemesi che si stava abbattendo su di lei. Talbot doveva sapere che ero io la causa del suo male. Eppure, dovevo renderlo incapace di nuocermi ancora. Finalmente, finalmente avrebbe pagato fino all'ultimo centesimo per le sue offese. Cosi', deciso a non tornare indietro, dal primo giorno di aprile di quell'anno mi interessai principalmente di distogliere la giovanissima moglie di Talbot dal suo ricco marito e, facendo affidamento sul mio piacevole aspetto fisico, sulle mie doti oratorie, ma, soprattutto, sulla sua innocenza, riuscii a farla invaghire di me. Il mese successivo, gia' potevo contare sulle continue lusinghe d'un segreto rapporto epistolare. Pian piano, Cristine, ignara d'essere la vittima d'un macchinoso inganno, si convinceva dell'onesta' dei miei sentimenti, e, la notte, nel talamo, sognava quella liberta' che, senza lesinare, io le promettevo se... La tenni in pugno per sei mesi prima di dare una forma precisa a quel se. Finche', una mattina, ricevette la mia ultima lettera. Mi sarei ucciso. Sarei morto per lei se Cristine non avesse mescolato al cibo di suo marito una certa polvere velenosa che le avevo procurato e che, in breve tempo, avrebbe causato la morte dell'uomo. Una morte che, visti gli anni di Talbot, sarebbe stata attribuita alla sua vecchiaia. Rassicurata Cristine, attesi pazientemente due settimane prima di raccogliere i frutti di quella prima giocata e di ripuntare tutto su un nuovo stratagemma. Morto Mr. Talbot, la strada verso Cristine si poteva dire spianata. Dopo un anno, riuscii a sposarla e ad entrare in possesso del ricco patrimonio del mio nemico. Ma sarei stato uno stupido se avessi pensato d'aver esaurito in questo modo le mie mire di rivalsa. Non era il denaro del vecchio cio' a cui miravo, cosi' come non lo era stato, al principio, l'amore di sua moglie. Volevo una vendetta lenta. Eppure, la rapida morte di Talbot non avvenne in contrasto con le mie aspettative, anzi, tutto proseguiva esattamente come, nella mia mente, avevo prestabilito. Cosi', quasi due anni dopo, allo stesso modo di Talbot, uccisi Cristine. Ma nessuno venne a sapere della sua morte. Anzi, se qualcuno di voi vive a Woodston, sa che mia moglie e' ancora viva. Chiedo scusa, ancora una volta comprendo che le mie parole rischiano di farmi sembrare pazzo. Mi rendo conto di aver fatto due affermazioni apparentemente contrapposte. Apparentemente, pero', perche' la logica di quanto vi ho detto sta nell'ultima parte del mio disegno di vendetta. Conservai il corpo di Cristine in cantina. La coprii con un lenzuolo bianco per mantenerne la pelle costantemente asciutta. L'ambiente freddo di quel luogo la serbo' incontaminata per due giorni. La notte tra il secondo e il terzo giorno, scesi la scaletta di legno che portava nello scantinato. Tolsi il sudario scoprendo il cadavere di Cristine. La ragazza giaceva oramai rigida. Aveva le labbra nere e il suo viso era bianco come il latte mentre gli occhi risaltavano in un contorno violaceo. Osservai rapito il suo giovane corpo strappato alla vita, il suo collo, i suoi seni acerbi, le sue mani. Il rumore d'una carrozza distolse la mia attenzione e mi fece ricordare la ragione per la quale ero sceso. Avete gia' capito? Impiegai due anni per... Quella sera, feci vedere a Talbot che, se l'infanzia non m'avesse negato le stesse sue possibilita', sarei diventato un grande uomo. Con quella sera, Talbot avrebbe compreso che nessun progetto era troppo ambizioso per me e che le ragioni della mia disgrazia non dipendevano dalla mia presunta stupidita'. Quella sera, avrei dimostrato quanto la mia mente era superiore alla sua; in che modo m'ero impadronito delle sue ricchezze, di sua moglie, e come, ora, m'apprestavo a possedere la sua esistenza; cioe', come questa sarebbe ben presto diventata di mia proprieta'. Nessun gatto dovrebbe giocare coi topi ma, se e' sua natura cacciarli, dovrebbe ucciderli subito. Infatti, viene sempre il giorno in cui il cacciatore e' costretto ad indossare gli scomodi panni della preda. Percio', giunta notte fonda, con l'aiuto dei segreti appresi dalla mia seconda madre e grazie alle conoscenze acquisite all'universita' di Boston, strappai lo spirito di Mr. Talbot dalle grinfie di Satana e rianimai la piccola Cristine. Quella che sarebbe stata la mia nuova piccola fedele Cristine...